“La sepsi è una delle patologie emergenti a livello europeo, ed è destinata ad incidere in maniera sempre più importante sui sistemi sanitari. I dati evidenziano un’incidenza nella sola Unione Europea di circa
90 casi per 100.000 abitanti/anno, con una stima di 1,4 milioni di casi di sepsi l’anno”. Lo ha ricordato Fabio Causin, direttore del Pronto soccorso dell’ospedale di Treviso, nel corso del Focus, organizzato dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Sassari su “Sepsi e shock settico”. L’ECM che si è svolto sabato scorso ad Alghero Presso L’hotel Calabona è stato aperto dal consigliere dell’Ordine Sergio Sotgia, che ha portato i saluti del presidente Nicola Addis, e ricordato l’importanza della formazione continua e dell’acquisizione dei crediti formativi per i professionisti della sanità, che in questa occasione erano 6.
Sulla formazione medica si è soffermato Alessandro Delitala, direttore della scuola di specializzazione di medicina d’urgenza dell’Aou di Sassari: “Su 15 borse ministeriali solo 3 quelle assegnate e nelle altre province la situazione non è migliore. Ora si punta sui neolaureati nella speranza che per il prossimo anno la scuola sia più gettonata”.
Del netto calo degli iscritti a Medicina d’urgenza – rianimazione ha parlato anche Salvatore Manca presidente nazionale SIMEU (società italiana medicina d’urgenza) rilevando la carenza di organici adeguati nelle strutture ospedaliere, sia numerico che di professionalità, un fenomeno nazionale che si acuisce nell’isola.
Responsabile scientifico del Focus di Alghero, Paolo Pinna Parpaglia, direttore del Pronto soccorso di Sassari. La Giornata di aggiornamento si è svolta in due sessioni, ed è stata coordinata dalla responsabile regionale del Simeu, Anna Paola Murgia che ha moderato la prima sessione dei lavori con Salvatore Manca, e Valeria Petretto, dirigente AOU di Sassari.
L’aumento della sepsi negli ospedali (infezione generalizzata che può interessare uno o più organi e arrivando a comprometterne la funzionalità) è stato spiegato da Sara Milia. “I valori crescenti di mortalità – ha sottolineato Milia – devono indurre i medici ad accelerare tutte le pratiche messe in atto dal momento della presa in carico del paziente, soprattutto nella prima ora. Una diagnosi precoce è l’arma più efficace per ridurre la mortalità. La sepsi – ha concluso Milia – è una malattia tempo-dipendente e va trattata alla pari, come urgenza, di un infarto o di un ictus, ogni ritardo aumenta le probabilità di morte. Tutto il trattamento rivolto al paziente deve essere concentrato in sei ore totali, ma sono fondamentali le prime 3”.
“Nel primo approccio – per Gian Alfonso Cibinel – è fondamentale lo stato del paziente , la ricerca della fonte dell’infezione e il controllo delle funzioni fisiche, che devono andare di pari passo con test rapidi, frequenza cardiaca ed ecografia dell’area interessata”. Per Daniela Pasero Le forme più gravi di Sepsi hanno percentuali di mortalità molto elevate, e la funzionalità cardiocircolatoria è determinante, “l’abbassamento della pressione sanguigna non consente di irrorare sufficientemente; quindi, finchè si è in tempo occorre usare farmaci vasopressori per migliorare la pressione”. Per l’infettivologo sassarese Riccardo Are nel premettere come l’antibiotico resistenza, stia diventando un problema anche nell’isola, “in caso di Sepsi occorre stabilire subito se si è in presenza di un’infezione o di un altro evento e dopo un test di microbiologia rapido, somministrare immediatamente gli antibiotici mirati”.
Nella seconda sessione, moderata da Paolo Pinna Parpaglia, Ivana Maida e Carlo Usai, è intervenuto Milco Ciccarese che ha rimarcato che se la sepsi provoca un danno renale acuto “bisogna somministrare terapie personalizzate che tengano conto del tipo di infezione, ma anche delle comorbilità del singolo paziente e delle risorse che la struttura ospedaliera è in grado di offrire”. “Sui pazienti fragili a rischio di sepsi – ha detto Patrizia Tilocca – la terapia non può prescindere dal quadro clinico globale per evitare che si rischino complicanze in pazienti già compromessi”. La giornata di studio si è conclusa con la discussione e il test di verifica.