A ottobre 2022 l’inflazione ha raggiunto il +11.9% su base annua. Per trovare un livello superiore nella crescita dei prezzi del “carrello della spesa”, è necessario risalire a giugno 1983 quando si registrò un +13,0%.

Un balzo che avrà nuovi effetti drammatici sul portafoglio delle famiglie e sui bilanci delle imprese agricole, costrette, queste ultime, a fare i conti con una pericolosa deflazione. Ai produttori, infatti, continuano a essere riconosciuti prezzi troppo bassi rispetto ai forti aumenti dei costi di produzione.

Il Centro Studi Cia nazionale ha elaborato i dati diffusi dall’Istat riguardo ai prezzi al consumo dei beni alimentari in Italia e, calcolando gli incrementi fatti registrare mensilmente nel 2022, si ricava una spesa media di +384 euro per ogni famiglia da gennaio. Da inizio anno, dunque, gli italiani hanno speso 9,7 miliardi in più per il “carrello della spesa alimentare”.

Nel dettaglio, si riscontra una ripresa dell’indice dei prezzi al consumo dell’1,9% trainata dai prodotti freschi non lavorati, i cui prezzi sono cresciuti del 2,4%, mentre, quelli della trasformazione agroindustriale hanno fatto registrare un incremento più contenuto (+1,7%). Dal lato delle variazioni annue (rispetto all’ottobre 2021) il carrello “generale” di prodotti agricoli, cibi e bevande analcoliche è aumentato del 13,1%. Rispetto a quest’ultima evidenza, a differenza di quanto osservato nella lettura delle variazioni mensili, sono stati i prezzi dei prodotti lavorati a crescere maggiormente (+13,4% contro il +12,9% dei non lavorati). Concentrando l’attenzione sui beni agricoli (non lavorati), per il mese di ottobre l’Istat evidenzia che: “l’accelerazione dei prezzi dei vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate (da +16,7% a +25,1%; +8,2% su base mensile), mentre rallentano quelli della Frutta fresca o refrigerata (da +7,9% a +6,5%; +0,7% rispetto a settembre)”.

«Come più volte sottolineato questo aumento incontrastato dei prezzi determina l’insostenibilità dei costi di produzione per tutto il comparto primario. Appare chiaro che la Sardegna, che subisce le conseguenze degli atavici irrisolti problemi relativi alla continuità territoriale delle merci, risulta essere tra le regioni più in difficoltà», commenta il direttore regionale di Cia Sardegna, Alessandro Vacca. «In questo contesto, inoltre, il divario della forbice tra prezzi pagati ai produttori per il conferimento dei beni rispetto a quanto pagato al banco di vendita dai consumatori, fa scaturire un danno sia per i produttori che si vedono restringere lo sbocco di mercato, sia per i consumatori, costretti a ridurre gli acquisti, con un impoverimento complessivo dell’intera società sarda», continua Vacca. «Si ribadisce quindi la necessità di intervenire puntualmente nella catena del valore e della distribuzione, prevedendo oltre che risorse e misure specifiche, anche interventi mirati sulle filiere, al fine di ridurre i costi e arginare le speculazioni in atto. Una crisi che incide ancora di più in Sardegna, dove imprese e consumatori pagano anche lo scotto dell’insularità».