di Cosimo Filigheddu

Seguivo a Tempio per il mio giornale il processo contro i sequestratori di Fabrizio De André e Dori Ghezzi. De André fece alcune dichiarazioni che avevano il senso di un perdono. Decisi di scrivere qualcosa che avrebbe attirato rogne alla Nuova, che però fu d’accordo, e a me: De André non aveva il diritto di perdonare i suoi rapitori, perché il danno lo avevano inflitto non soltanto alle dirette vittime ma soprattutto a tutto il popolo e andavano quindi giudicati in nome del popolo, non delle vittime, come la legge di una democrazia stabilisce. Un concetto difficile da digerire, ma allora non c’erano i social e i giornali servivano anche a fare riflettere su cose complicate. Apriti cielo. De André fu il primo a prendersela, e non me lo nascose, ma figuriamoci quanta gente mi vide come freddo negazionista di una antica situazione sociale che alla fin fine giustificava quell’odioso crimine. E soprattutto come uno che non apprezzava la superiore bontà di quella vittima illustre. Invitato da loro, andai a cena con il cantante e il suo avvocato al ristorante del Petit Hotel di Tempio, dove alloggiavo in quei mesi del processo. Doveva essere un chiarimento amichevole ma non lo fu. Mi disse che non capivo il senso delle sue dichiarazioni, gli risposi che quando lui difendeva i pochi che delinquono per miseria materiale, offendeva i molti altri che stretti nella stessa miseria conservano la loro dignità. E ciascuno restò della sua idea.
Ritengo doveroso adesso, pur come ballerino di ultima fila della cultura sarda, affermare che Mesina era un delinquente. L’evidente formazione in pieno corso d’opera di un’agiografia stucchevole, mi fa perdere persino la naturale pietà che bisognerebbe avere per un morto. Mesina non ha fatto niente di buono per il nostro popolo, ne ha piuttosto sporcato l’immagine. Ci sono state intere leve di intellettuali, alcuni di primo piano, che negli anni hanno diffuso l’immagine di un eroe, hanno vellicato confuse rivendicazioni e desideri di riscatto popolari, hanno fatto di tutto per mostrarsi alla moda e ottenere ospitalità su giornali e tv e da case editrici. Hanno negato l’onestà e il sacrificio dei milioni di sardi che nei secoli, nelle stesse condizioni sociali di Mesina e anche peggiori, hanno conservato “il loro onore e la loro dignità di uomini”, come scrisse Gramsci nella stupenda lettera dove spiegava alla madre, in parole semplici e amorevoli, la necessità del proprio sacrificio. Primo Levi si chiese se, tra orrore e dignità, l’umanità possa conservarsi: “Se questo è un uomo”. Ecco, in parole povere, secondo me uomo è quello di cui parla Gramsci, non Mesina.