La statua di Remo Carta, scolpita dal padre, nel cimitero di Sassari

Marco Atzeni, autore del romanzo “Le due città” (Maestrale), il più venduto a Sassari nel 2024, continua instancabile a riportare alla luce piccole e grandi vicende della storia di Sassari. Pubblichiamo, per sua gentile concessione, il nuovo racconto apparso proprio oggi, 9 febbraio, sulla pagina Fb. Se volete saperne di più sulle ricerche di Marco Atzeni, questo è il link al suo blog Storia di Sassari.

di Marco Atzeni

Camminavo lungo il viale e dei colpi, secchi e ripetuti, mi fecero arrestare. Incuriosito, seguii quel suono ritmico e mi nascosi dietro un albero. Era un uomo, curvo su un blocco di marmo, che scolpiva un busto. A un tratto si fermò e sospirando accarezzò la statua. Abbassò poi lo sguardo e le gambe gli cedettero. S’abbandonò in ginocchio sul terreno umido e il suo improvviso pianto echeggiò disperato nel silenzio della sera. Si rialzò a fatica, raccolse martello e scalpello, e andò via singhiozzando, mentre s’asciugava gli occhi con la manica impolverata di bianco. I miei passi crepitarono sulle foglie e m’avvicinai al busto.

Il volto scolpito era quello di un ragazzino che guardava lontano e una scia umida ne segnava la guancia di pietra. Sfiorai la superficie liscia e rimasi stupito. Il marmo non era freddo, ma tiepido. Un’altra goccia gli scivolò lenta, dall’occhio sino al mento. Era quasi buio e scrutai il cielo, cercando conferma d’un temporale improvviso, ma non v’erano nuvole. Quelle gocce non erano pioggia.

Remo Carta era un giovane sassarese. Abitava coi genitori al corso Vittorio Emanuele e ogni mattina vestiva la giacchetta e faceva le consegne per una bottega di alimentari. La sera si dedicava alla ginnastica con la società Silvio Pellico e passava le domeniche in piazza Tola con gli amici, che scherzavano chiedendogli «E Romolo non è venuto?».

Remo era nato proprio a Roma, dove i genitori avevano vissuto per un breve periodo, e alla città eterna doveva quel nome che a Sassari lo rendeva originale. Era peculiare anche il giorno in cui mamma Salvatorica lo diede alla luce: l’11/11/’11.

Nell’autunno del 1928, Remo s’ammalò. I medici del policlinico si prodigarono, ma deperì rapidamente e si spense nel suo letto a diciassette anni. Alla famiglia non rimase che il conforto di suor Teresa, che tenne la mano al ragazzo durante il vano ricovero. Il padre di Remo, il signor Gerolamo, dovette affrontare una prova atroce. Scultore di professione, decise di realizzare il busto per la tomba del figlio. Nella solitudine del laboratorio, in lacrime, incise quei lineamenti che non avrebbe più rivisto. Ogni colpo di scalpello fu una fitta al cuore.

Al cimitero monumentale di Sassari, oggi Remo non è più solo e riposa con i genitori, i nonni e le sorelle, una delle quali ne sentì solo parlare. Il delicato volto dello sfortunato giovane veglia ancora su di noi, e, se andrete a trovarlo, vi narrerà la storia, antica d’un secolo, di un figlio perduto e di un padre che trasformò il dolore in ricordo eterno.