Donald Trump

di Alberto Mario Delogu

Ve lo ricordate “Te la do io l’America” di Beppe Grillo?
È un titolo che descrive bene la mia vita.
Da quando ci sono andato a vivere, ormai 33 anni fa, c’è sempre qualcuno che mi vuole insegnare l’America.
Me la vuole spiegare perché io non l’ho capita.
Quella che Prezzolini chiamava “uno dei segreti meglio custoditi al mondo”. Quella di cui conosco 26 stati su 51. Quella in cui ho studiato, vissuto, scritto, letto, lavorato, giocato e pianto.

Me la vogliono insegnare.
Col piglio del fascio-antifascista europeo di pasoliniana memoria, incrostato di ideologie, etichette e pregiudizi. Con la sicumera dell’intellettuale libresco, pagine tante ma vita poca. E quella poca in logu strintu, come dice un amico emigrato anche lui.
L’America ha invece questo di bello: ti sorprende sempre. Non ha niente della pesantezza europea: è leggera, se ne infischia delle etichette. È nata e continua ad esistere proprio per fottersene altamente dei distintivi e dei formalismi.
Nasce dalle ceneri di un vecchio continente bolso e frusto, cui si concede il vezzo di elargire parole, modi e modelli. Cioè cultura.

Oggi ti manda un bastimento di parole per farcire il guscio vuoto del tuo progressismo di maniera. Domani ci ripensa e ti elegge un uomo cui bastano 300 parole per entrare nel cuore della gente.
E mentre sul lato est dell’oceano gli orfanelli piangono e si disperano con atítidu gesuita, l’America se la ride. E si sfila dalle loro tonache mentali.
Come Groucho, anch’io cambio opinione quando troppe persone cominciano a essere d’accordo con me.

Per questo, in America, manebo optime.