La copertina del romanzo di Edoardo Mantega

Ossessionato da più di venticinque anni dal misterioso Annìle – è una volpe, un uomo,
un’idea? –, un tale ne rinviene il diario in un vecchio casolare di pietra lavica sulle cime
del Montiferru. Il diario, suddiviso in quattro “stagioni”, è il racconto del processo di
umanizzazione della montagna di ferro, fattasi uomo per il desiderio di raccontarsi e di
raccontare le storie dei singoli e delle comunità che l’hanno abitata. Figura essenziale per
l’apprendistato di Annìle è la piccola Maddalena, che insegna alla montagna l’arte delle
parole e delle storie durante giorni e notti passati nel casolare montano.
Il romanzo è anche la descrizione dettagliata del corpo antico di Annìle, fatto di boschi,
pietre laviche e solitudini, ma soprattutto è la sua ricognizione su un mondo complesso e
in cambiamento, che si risolve e dissolve nelle fiamme dell’incendio che nel 2021 ha
devastato il Montiferru.
Gli ultimi pensieri e le ultime volontà di Annìle riveleranno la natura di “falsa” fiaba del
suo racconto, incentrato sulla precarietà del rapporto tra uomo e natura, un rapporto che
si rinsalda e rigenera nella parola poetica, che affabula e denuncia, risarcisce e sopravvive
alla distruzione.
Considerato che si è davanti a un esordio e che l’esordiente non ha ancora trent’anni,
Annìle. Ovvero falsa fiaba della montagna di ferro di Edoardo Mantega, appena pubblicato da
Il Maestrale, colpisce ancora di più per l’identità e la consapevolezza che esibisce, sia sul
piano della storia che su quello stilistico.
«Tutto nasce dalla fine, si potrebbe dire: è l’estate del 2021, il Montiferru brucia e così
brucia una parte della mia vita. L’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta», racconta
Mantega. Che su quella «montagna piccola, quasi insignificante, snobbata dagli stessi
escursionisti che prediligono il ben più noto Supramonte» si informa, legge, raccoglie
voci e ricordi. Non gli interessa però scrivere un’opera di storiografia o un resoconto
etno-antropologico: a guidarlo è «la realtà della narrazione che così tanto spingeva per
venire fuori».
L’aspetto della scrittura non è comunque meno importante di quello della ricerca, per
uno come lui che viene dal testo canzone. Quasi inevitabile che nel romanzo il risultato
sia la commistione tra prosa e poesia, anche sulla scorta di quegli autori amati in quanto
capaci di lasciare «un senso di incompiuto e di imperfetto così pieno da pervaderne la
vita stessa. Tracciare una mappa emotivo-sensoriale dei miei luoghi. La ricerca di una
geografia emotiva, minima, sensoriale e musicale in tempi in cui tutto deve servire a
qualcosa o servire qualcosa. Volevo un romanzo che fosse non-utile: che si accontentasse
di essere in virtù di una viva necessità di espressione».