Igino Panzino

di Igino Panzino

Il rapporto tra arte e democrazia è un rapporto ancora non completamente risolto, iniziamo così con l’artiglieria pesante. Nei suoi secoli o millenni di storia l’arte si è sviluppata sotto regimi dispotici di tutti i generi, qualcuno dei quali magari anche illuminato.
Regni, principati, imperi, papati, sotto regine, zar, faraoni, duchi ecc. tutte situazioni e figure che hanno comunque sempre assicurato che lavorassero gli artisti migliori, così almeno a giudicare da quanto ci ha consegnato la storia.

Certo molto è dovuto all’intelligenza e alla cultura dei committenti che seppure dei despoti non erano certo degli ignoranti arricchiti come tanti se ne trovano oggi, e tanto si deve anche ad un sistema formativo degli artisti tenuto evidentemente a maglie molto strette se si pensa che a quei tempi nelle botteghe gli apprendisti potevano infatti passare anni macinando colori prima che il maestro gli affidasse l’esecuzione di una semplice decorazione.
Cosicché le nostre giovani democrazie, delle autentiche ragazzine se si parte dal momento della loro compiuta realizzazione, da noi per esempio questa compiutezza risale al 1945, anno in cui è stato deciso il voto alle donne, in Francia ancora dopo con l’abolizione della pena capitale negli anni ’80, in Spagna si è dovuta aspettare la morte di Franco, diversi paesi hanno ancora delle monarchie da operetta, queste giovani democrazie dicevo hanno dovuto affrontare il problema di come continuare a garantire, come nelle epoche precedenti, la qualità della produzione artistica assicurando la massima libertà senza negare diritti a nessuno.

Impresa non molto facile considerando che libertà e qualità non necessariamente devono coincidere.
Questa contraddizione appare ultimamente messa molto in evidenza dalle sempre più diffuse pratiche della street art e del muralismo (fenomeno particolarmente presente da noi in Sardegna), che producono opere che pur quando realizzate col permesso o anche su commissione delle stesse amministrazioni pubbliche che dovrebbero rappresentare gli strumenti della democrazia, risultano sempre frutto di scelte arbitrarie, non si capisce infatti sulla base di quali principi democratici e di quali competenze si decide dove e perché realizzare questi lavori e a chi affidarli.

Eppure nel nostro paese abbiamo una legge (717/49) che regola appunto questa materia e che si basa su due principi fondamentali: uno che il percorso da seguire per la realizzazione di opere d’arte pubbliche deve essere a sua volta di evidenza pubblica (si escludono cioè gli incarichi privati) e secondo che le scelte devono essere compiute tramite confronto di idee ovvero per concorso, principi guida ai quali bisognerebbe attenersi anche quando l’applicazione di questa legge non fosse obbligatoria.
Detto per inciso questa legge avrebbe bisogno di qualche ritocco di aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda il concetto di arte come decorazione dell’architettura che ne traspare.

Sono da sempre convinto che la forma di democrazia più efficiente sia quella definita ‘per delega’, penso del resto che la democrazia diretta sia un’utopia populistica, sembra infatti assurdo che si possano consultare 60 milioni di persone ogni volta che bisogna fare delle scelte che magari richiedono anche delle competenze specifiche.
Certo la democrazia per delega funziona se io mando a rappresentarmi qualcuno migliore o più competente di me e se vengono riconosciute, previo controllo, le autorità nelle diverse materie.
Quando a governarci arrivano delle figure peggiori di noi e prive di qualunque competenza, convinte che uno valga uno e che perciò non esistano competenze ma solo opinioni, allora è ovvio che la democrazia si inceppa, ogni allusione all’oggi è naturalmente casuale.

Con questo voglio dire che i concorsi per la realizzazione di opere d’arte, a mio avviso, rappresentano nel settore la forma più avanzata della democrazia, una forma che consente la partecipazione di tutti e che, è inutile dirlo, si esprime al meglio se ovviamente si sta particolarmente attenti alla composizione (la più autorevole possibile) delle commissioni giudicatrici.
A questo proposito bisogna purtroppo dire che sono tanti, anche tra quelli che questi concorsi dovrebbero bandirli in osservazione della legge, che li considerano invece degli inutili impacci burocratici, sarà forse anche per questo che la legge non viene quasi mai applicata.
Un discorso a parte dovrebbe riguardare il problema della formazione degli artisti in un sistema che per un malinteso senso della democrazia tende sempre più ad allargare le maglie dei metodi selettivi senza tenere conto del fatto che nella distribuzione dei talenti, la natura, che della democrazia se ne frega altamente, non è nello stesso modo generosa con tutti.

Un altro non secondario aspetto sul quale andrebbero fatti dei chiarimenti a proposito di questo confuso rapporto tra arte e democrazia finora descritto, è quello che riguarda le relazioni tra attività artistica pubblica e iniziative private, si tratterebbe di riuscire a dare all’attività pubblica la capacità di regolare lo strapotere debordante assunto dal mercato e dall’industria culturale in genere, in modo da fissare dei paletti utili per spiegare prima di tutto che in arte non sempre valore economico e valore artistico sono sovrapponibili.
Sarebbe insomma necessaria un’attività pubblica che si assumesse la responsabilità di sostenere quella ricerca artistica che, anche se non apprezzata dal mercato, sia dotata di qualità culturale, un po’ come succede in campo scientifico (magari con un tantino in più di generosità) dove la ricerca di base è affidata al pubblico mentre quella applicata è appannaggio del privato (che la sostiene con molti maggiori mezzi).

Bisognerebbe inoltre chiedersi seriamente se l’apprezzamento del mercato costituisca per davvero un valore culturale aggiunto o se non sia il caso di disgiungere i vari aspetti delle cose anche dal punto di vista di una rinnovata metodologia di analisi critica.
Si tratta infine di capire che l’arte, la cultura in genere, devono rappresentare un valore in sé, che non sono materie che acquistano valore solo se capaci di produrre utili o se usate a supporto di altre attività economiche dotate di queste capacità.
Di riconoscere insomma che la sola crescita culturale dell’individuo diventa in modo diretto o indiretto un fattore di crescita economica.

Come si vede la strada verso il perfezionamento del rapporto tra arte e democrazia è ancora un po’ lunga da percorrere..