Nel suo ultimo report, ActionAid e l’Università di Bari analizzano i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Italia, evidenziando costi elevati, scarsi risultati e violazioni dei diritti umani. La struttura di Macomer emerge come esempio di inefficienza e modello di riferimento per i nuovi centri in Albania, suscitando forti critiche per l’impatto umano e finanziario.
In Sardegna, il CPR di Macomer ha evidenziato costi elevati, al punto che mantenere le forze dell’ordine a presidio della struttura risulta più oneroso che gestirla.
Dal 2014 al 2023, circa 50mila persone straniere sono state detenute nei CPR, centri che secondo ActionAid violano i diritti umani e rappresentano un enorme dispendio per le finanze pubbliche. L’analisi di ActionAid e del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, nell’aggiornamento 2024 del report “Trattenuti”, fotografa un sistema che appare disumano, inefficace e insostenibile, disegnando un modello potenzialmente destinato ai nuovi centri di trattenimento in Albania, voluti dal Governo Meloni. La ricerca ha raccolto dati approfonditi dal 2014 a oggi tramite 97 richieste di accesso agli atti rivolte a Ministero dell’Interno, Prefetture e Questure, e 53 richieste di riesame. Tutte le informazioni, comprensive dei dati relativi al CPR di Macomer, sono disponibili in formato aperto sulla piattaforma “Trattenuti” (https://trattenuti.actionaid.it/).
Macomer: cronaca di un fallimento nazionale
Tra il 2020 e il 2023, il CPR di Macomer ha avuto una media di 43 presenze giornaliere e 222 ingressi annui (273 nel 2023). La percentuale di persone provenienti dal carcere è elevata, con il 29% tra il 2020 e il 2023 e il 28% solo nel 2023, ben al di sopra della media nazionale. I tempi medi di permanenza si attestano a 68 giorni (contro la media nazionale) e scendono a 52 giorni nel 2023; il tasso di rimpatri è solo del 24%, mentre la percentuale di uscite per decorrenza dei termini arriva al 48%, quasi il doppio rispetto alla media nazionale. L’elevato numero di ex detenuti accolti si spiega, probabilmente, con la struttura dell’ex carcere di massima sicurezza, ritenuta idonea dal Ministero dell’Interno per ospitare queste persone.
Giuseppe Campesi, esperto di detenzione amministrativa e rimpatri dell’Università di Bari, ha commentato: “I dati sulle persone trasferite dal carcere, insieme all’alto tempo di permanenza e alla frequenza di uscite per decorrenza dei termini, dimostrano che queste persone sono difficili da espellere e restano trattenute più a lungo. Questo ulteriore periodo di trattenimento risulta spesso ingiustificato, data la bassa probabilità di eseguire un rimpatrio.”
Costi esorbitanti e gestione poco trasparente
La gestione del CPR di Macomer è stata inaugurata nel 2020 dalla multinazionale Ors Italia Srl e, dal 2022, è passata alla cooperativa sociale Ekene Onlus, che si occupa anche del CPR di Gradisca d’Isonzo. Nonostante alcune criticità, la convenzione con Ekene è stata rinnovata fino a settembre 2024, in attesa di una nuova gara vinta infine dalla cooperativa Officine Sociali. “I gestori sono sempre gli stessi,” ha spiegato Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, “e guadagnano evitando spesso di garantire i servizi previsti dal contratto, favoriti dalla mancanza di controlli regolari delle Prefetture.”
Il costo giornaliero medio per detenuto è stato di 37,94 euro, salito a 40,18 euro nel 2023. Tra il 2020 e il 2023, il costo complessivo della struttura ha superato i 5 milioni di euro, con il 41% destinato alla manutenzione straordinaria. Nel 2023 il CPR ha comportato una spesa annua di oltre un milione di euro, con un costo medio per posto letto di quasi 21mila euro. Se si includono i costi delle forze dell’ordine che presidiano il centro, l’importo sale ulteriormente. A Macomer, infatti, il solo vitto e alloggio delle forze dell’ordine è costato 5,8 milioni di euro tra il 2020 e il 2023, portando il costo totale per posto letto a oltre 52mila euro nel 2023.
Un modello da ripensare
Questo sistema, sostiene ActionAid, solleva interrogativi sui costi e sull’efficacia della politica di trattenimento e rimpatrio, anche alla luce di risultati che raggiungono solo il 10% delle aspettative. Le politiche attuate sembrano influenzare anche l’economia locale, spingendo il territorio a fare affidamento sull’indotto generato da queste strutture.
NB: immagine indicativa