di Pier Luigi Rubattu

Sassari. Non è il baricentro basso, non è la bilancia impietosa, non è il poco allenamento. Quel ragazzo a centrocampo con il numero 8 sembra muoversi con una fatica innaturale, come se sulle spalle gli gravassero tonnellate di talento, il talento che però non è il suo.

Si chiama Cristian Totti, ha 18 anni, è il figlio di Francesco che esordì sedicenne in serie A: lui per primo sapeva di essere un fenomeno, tutti gli altri dovevano solo prenderne atto.

Cristian è in serie D, gioca nell’Olbia allenato da Amelia, uno dei campioni del mondo 2006, come Francesco. I bianchi di Gallura scendono in campo a Sassari contro il Latte Dolce, finirà 2-2.

Si è parlato tanto del ragazzo perché finora, in allenamento e in partita, è apparso pesante, impacciato. Il padre lo ha difeso con affettuoso equilibrio, ha chiesto di lasciarlo allenare e giocare in pace, di aspettare prima di giudicare. Lo sappiamo come ci si sente, noi che abbiamo accompagnato i figli piccoli a fare sport e abbiamo scoperto che no, non erano i più bravi del gruppo.

Ebbene, caro Totti (Francesco), forse sei riuscito a farti ascoltare.

Latte Dolce-Olbia, fischio d’inizio, giocano in ventidue, ma la tentazione è di guardarne solo uno, maglia bianca numero 8, centrale di centrocampo, uno che quando la sua squadra batte un calcio d’angolo resta indietro a coprire in difesa, ve lo immaginate Francesco che si disinteressa dell’attacco?

Piano va piano, Cristian, quelli del Latte Dolce lo superano come frecce. Qualche errore. I compagni lo cercano poco. Eppure il pubblico di Sassari, che a sarcasmo non scherza, sta aspettando la favola. In tribuna poche facili battute, ma quasi a incoraggiare il ragazzo.

Le flebili prese in giro diventano spontanee ovazioni le due o tre volte che Cristian parte palla al piede e cambia radicalmente passo e postura, negli attimi delle infinite possibilità, nell’attesa di un’invenzione che cambia la partita. Poi non succede nulla, e il ragazzo non tornerà in campo nel secondo tempo. La favola è rimandata. Ma babbo Totti, l’abbiamo capito, siamo tutti noi.