Lo spettacolo “Omeophonie – Favole Omeopatiche per Adulti” andato in scena ieri, nell’ambito della 26esima edizione del festival Abbabula, ha visto come protagonista Arianna Porcelli Safonov, accompagnata sul palco dai musicisti Renato Cantini e Michele Staino (tromba e contrabbasso).
L’artista – autrice, tra le altre cose, del libro “Stori di matti”, pubblicato da Fazi Editore – ha portato sul palco un quadro ironico ed irriverente di alcune precise figure con cui ci troviamo, spesso, ad entrare in contatto. Ad iniziare dall’aspirante designer, in cui tutto deve essere all’altezza delle aspettative – bicicletta elettrica ultimo modello e borsa Piquadro compresa – per poter già iniziare a pensarsi designer prima ancora di esserlo. L’aspirante designer non è che la punta dell’iceberg di una società in cui è diventato essenziale apparire (persino con il proprio specchio) vincenti, arrivati, realizzati, colti e intellettualmente stimolanti. In una parola: migliori. Arianna Porcelli ha condotto il pubblico de “Lo Quarter” in un viaggio in cui ognuno ha potuto trovare un piccolo spazio sui vagoni del frenetico treno sociale, ironizzando in modo caustico innanzitutto con se stessa. “Ѐ arrivato il momento storico giusto. Quello in cui devo fare quella che, di Jazz, ne capisce. Anche se poi, in cuffia, ascolto Elodie…”

Il Jazz è l’emblema della musica colta, di quella costola della cultura alta che va di pari passo con certe tecniche di meditazione ed esplorazione interiore, e Arianna ironizza con i due musicisti sul palco al riguardo, mettendo in luce quanto, per non apparire fuori contesto o rozzi, a volte si è propensi ad accettare di buon grado, ma soprattutto a far finta di gradire oltre misura, spettacoli – o sedute di mindfulness! – dove a mala piena si riesce a tenere gli occhi aperti, lottando per non cedere a un rigenerante pisolino.

Un’esibizione dove si sono alternati, in scenari fantastici ma incredibilmente vicini a noi, personaggi come l’uomo maltrattato (non maltrattante!), o la signora di mezza età che prova a indossare gli abiti idonei alla società bene, mentre il pensiero vaga ai falò in spiaggia e alle canne. È un mondo dove l’ambizione massima è quella di riuscire ad omologarsi a tutti gli altri, a coloro “che contano”, coloro “che ce l’hanno fatta”; che hanno raggiunto una posizione. E dove anche un aperitivo al tramonto diventa uno status symbol. Arianna Porcelli parla a ruota libera, con eleganza e un lessico ricercato ma diretto, a tratti crudele: “Se non fai l’aperitivo al tramonto fai schifo: non ti vuole nessuno!”. Ed è in questa ricerca spasmodica che si perde il senso e l’importanza del proprio io, della propria particolarità, di ciò che ci rende unici.

Minuto dopo minuto, tra un assolo di jazz e un altro, passano davanti agli occhi e alle orecchie degli astanti dipinti di ipocrisie, visioni incongruenti tra ideali esposti e comportamenti discutibili, il disegno di un mondo che pare essere troppo grottesco per essere vero, e che trova il suo spazio essenzialmente sui Social. E invece, è tutto vero: basta guardarsi intorno tra il pubblico dove, ad essere colte da maggior ilarità, sono proprio coloro che l’artista pone alla mercé del pubblico ludibrio. È sufficiente osservare l’enorme rappresentazione umana che percorre le vie del centro storico di Alghero, non appena finito lo spettacolo: sono tutti lì, ci passano a fianco, ci parlano esattamente con le parole appena pronunciate da Arianna Porcelli. Ed è lì che si capisce il vero senso di Omeophonie e ci si rende conto di quanto, certe favole, siano dannatamente reali e di quanto, oggi come ieri, abbiano lo stesso scopo: quello di farci imparare qualcosa.

Daniela Piras