Sassari. Asincronie, il festival di cinema documentario e fotografia organizzato dal collettivo di filmaker e fotografi 4Caniperstrada, chiude la quinta edizione con una serata dedicata alla Palestina e alla sua filmografia militante, del passato e del presente, domenica 30 giugno a partire dalle 19.30 nello Spazio TEV – Theatre en Vol in via Giuseppe De Martini 13 – 15, a Sassari (ingresso gratuito fino a esaurimento posti). Sarà presente la regista e artista visiva di Betlemme Emily Jacir (Leone d’Oro alla Biennale d’arte di Venezia nel 2007) con il film in anteprima regionale “Letter to a friend”, presentato al festival di Berlino nel 2020.
La serata è organizzata in collaborazione con l’associazione Ponti Non Muri, con AAMOD – Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, e con il Palestine Film Institute, e si aprirà con un videomessaggio della scrittrice e giornalista del “Palestine Chronicle” Romana Rubeo, che porterà una testimonianza diretta sulla situazione attuale a Gaza.
«Siamo convinti che un festival non sia un contenitore di film da guardare passivamente, ma un’occasione importante per riflettere in maniera consapevole, attraverso il linguaggio del cinema documentario, sulla realtà contemporanea, su temi quali la tutela dell’ambiente, il lavoro, il ruolo dell’arte nella società e, prima di tutto, i diritti civili e la libertà dei popoli» spiegano gli organizzatori del festival. «Quest’anno Asincronie guarda in particolare alla Palestina, attraverso alcuni preziosi film militanti che ne raccontano la storia passata e quella attuale, per non perdere la memoria di un popolo che da più di 80 anni chiede di essere riconosciuto».
“Scenes of the Occupation from Gaza” (1973) è una pietra miliare della filmografia militante palestinese. Girato da una troupe francese diretta da Mustafa Abu Ali, uno dei fondatori della rivoluzionaria Palestine Film Unit, braccio cinematografico della lotta di liberazione palestinese impegnato in una radicale controinformazione, il film è uno dei primi a raccontare l’occupazione militare della Striscia di Gaza da parte del governo israeliano. Alla sua uscita, nel 1973, vinse il premio come miglior film al Damascus Film Festival e in seguito fu presentato in diversi altri festival, facendo crescere così la solidarietà per la causa palestinese.
Emily Jacir (Betlemme, 1972) è una regista e artista visiva. Ha esposto in tutto il mondo, sia in mostre personali che collettive. È fondatrice di Dar Yusuf Nasri Jacir for Art and Research a Betlemme, un centro multidisciplinare per artisti, scrittori, musicisti ricercatori. Nel documentario “Letter to a Friend”, presentato al festival di Berlino nel 2020, la regista lancia un appello al gruppo di ricerca londinese Forensic Architecture – che si occupa di difendere i diritti umani contro la violenza commessa da stati o aziende – per condurre un’indagine sulla storia della strada dove si trova la sua casa di famiglia a Betlemme. L’intervento edilizio e militare dello stato di Israele ha sconvolto la geografia e l’economia della città, così come la vita dei suoi abitanti, limitati nei loro diritti fondamentali e impegnati ogni giorno in una lotta per la sopravvivenza.
Terzo film in visione è “Nakba. La catastrofe palestinese” di Monica Maurer, attivista politica e regista tedesca, trasferitasi negli anni Settanta a Beirut per lavorare con il Palestine Film Institute. Come racconta il documentario, il 15 maggio del 1948 è la data della fondazione dello Stato di Israele su oltre metà del territorio della Palestina storica, dal Mediterraneo al fiume Giordano. Ma quel giorno per i palestinesi significa “Nakba”, la catastrofe: l’espulsione coatta, con l’uso della violenza e delle armi, di oltre 800.00 persone e la distruzione di 600 villaggi.
A chiudere la V edizione di Asincronie sarà la performance “Il pubblico bene” – tra teatro, concerto di musica elettronica ed esito audiovisivo – di Simone Azzu e Martino Corrias, con materiale video da Sardegna Digital Library e Archivio Fiorenzo Serra. Il focus dello spettacolo riporta alla Sardegna: territorio percepito come esotico, si manifesta come paradigma dello sfruttamento del suolo, delle risorse e della popolazione, in un preciso scollamento fra le necessità degli abitanti e quelle del capitalismo.