Il Coordinamento delle comunità terapeutiche – CEAS chiede con carattere di estrema urgenza una audizione da parte della commissione Sanità del Consiglio regionale, per far fronte all’emergenza scaturita dalla recente delibera della Giunta sui requisiti di accreditamento della Regione Sardegna delle strutture riabilitative, secondo cui bisognerebbe licenziare il 65% del personale sotto contratto a tempo indeterminato, per sostituirlo con lavoratori in possesso di nuovi titoli professionali. Il Coordinamento precisa che, nelle nostre strutture, lavorano circa 100 educatori in possesso della laurea in Scienze dell’Educazione e della formazione. Inoltre, come molte volte ribadito in via formale e informale all’Assessorato regionale competente, non c’è in Sardegna un numero sufficiente di educatori professionali sanitari per la sostituzione richiesta.
«Questa politica non ascolta più nessuno», è il commento della presidente del Coordinamento, Giovanna Grillo. «Non solo: dimostra di non conoscere o comunque non applicare le leggi vigenti. È un fatto gravissimo, soprattutto se si pensa che le comunità sono l’espressione della partecipazione democratica ad un processo sociale delicatissimo».
«Io sono la memoria storica delle tossicodipendenze in Sardegna, perché ci vivo in mezzo da 43 anni.
Mai ho vissuto una stagione come questa, nella quale stanno aumentando gli spacciatori, le droghe, gli assuntori e i due pilastri che vigilano sul territorio, vale a dire i Serd e le comunità terapeutiche, sono in profonda crisi», spiega Padre Salvatore Morittu (Mondo X-Sardegna) che nel 1980 ha fondato a Cagliari la prima comunità dell’Isola. «Pare che questo tema non entri nell’agenda politica.
E non vi entra da diversi anni. Al contrario, il territorio ci dice che questa è una delle più grandi rivoluzioni in atto. Di fronte a questa realtà noi abbiamo una politica e una burocrazia che vanno per
la loro strada, senza intercettare nessuno di coloro che lavorano sul territorio al fianco della gente.
Scrivono le leggi senza interpellare chi si occupa di questi problemi quotidianamente. Ci hanno giustamente imposto di avere un’equipe multidisciplinare e garanzie di sicurezza, che hanno i loro costi, ma poi scopri che vogliono dividere la spesa sanitaria con la spesa sociale, portandole a carico dei Comuni che hanno le casse vuote e, quindi, si rifanno sulle famiglie, sulle persone».
Tutti i componenti del Coordinamento sono sintonizzati sulla stessa frequenza. Ecco i loro commenti.
Antonio Pasella (comunità La Crucca): «Il lavoro dell’accoglienza nelle comunità delle persone che esprimono il loro bisogno di fare un percorso riabilitativo, sta diventando sempre più complicato. E non solo per l’aumento dei costi. Le istituzioni si sono dimenticate dei presidi territoriali ai quali, sempre più raramente, viene riconosciuta l’opera svolta a favore di queste persone con disagi vari. Diventa arduo dare risposte adeguate dal punto di vista sanitario e sociale, perché si tratta anche di ricostruire i loro rapporti lavorativi e familiari. Siamo davvero di fronte a scelte difficili: abbiamo bisogno di un aiuto da parte delle istituzioni. Manca il dialogo, da diversi anni non viene convocato il tavolo regionale delle dipendenze».
Don Carlo Follesa (comunità L’Aquilone): «Non comprendiamo l’atteggiamento di questa Giunta regionale che non si è impegnata a fondo nella sanità, a cominciare dal grande problema che c’è in Sardegna in materia di tossicodipendenze e gioco d’azzardo. La Giunta sembra non interessarsi ai problemi della gente, e dei giovani in particolare».
LE RAGIONI
Don Andrea Raffatellu (comunità L’Arcobaleno – Olbia): «Si richiede del personale che attualmente
non c’è nel mercato del lavoro. Dunque, dovremmo chiudere le comunità, a meno che non si facciano dei corsi di formazione specifici. Non siamo strutture sanitarie: la mia, per esempio, ha una natura pedagogica e riabilitativa. La delibera punta a far pagare la metà dei rimborsi ai Comuni che, a quanto mi risulta, non sono stati interpellati. Occorre un tavolo di lavoro efficiente, al quale siedano anche i responsabili del Coordinamento delle comunità».
Don Angelo Pittau (Madonna del Rosario): «Dal 2013 andiamo avanti con le stesse rette, non riusciamo più a pagare il personale che ha diritto a un regolare contratto. Io sono un prete e posso permettermi di fare il volontario, ma la gente deve pur vivere ed essere pagata per il suo lavoro. Non si può fare un’opera di assistenza senza un adeguato sostegno economico. È un problema di giustizia».
Graziamaria Ledda (Centro di accoglienza Don Vito Sguotti): «È assurdo che la Regione abbia istituito attraverso la Finanziaria un fondo per l’adeguamento delle rette, ma siamo a metà novembre e non abbiamo visto un euro. Continuano a non tenerci in considerazione quando si devono prendere delle decisioni che vanno a pesare sulla pelle della gente. Il Serd svolge un servizio totalmente differente, i percorsi residenziali per le dipendenze li fanno soltanto gli enti riuniti nel Coordinamento. Non capisco perché continuino a ignorarci».
Pierangelo Puppo (Dianova cooperativa sociale): «Siamo passati per una pandemia e per gli aumenti dei beni di prima necessità e dei carburanti, che ben conosciamo. Ecco perché non riusciamo più a sostenere certi costi. È vero che il Collegato alla Finanziaria ha previsto il pagamento di un acconto pari al 50% delle vecchie tariffe, ma ormai siamo a fine anno e non abbiamo percepito questi soldi. Tengo a sottolineare che, spero presto, si dovrà tenere conto della definizione delle tariffe che ancora non sono state definite. Poi verrà fatto una sorta di conguaglio. Noi dobbiamo e vogliamo tutelare i tossicodipendenti che ospitiamo ma anche i lavoratori che sono sotto contratto, e questo è diventato estremamente difficile».
Nella delibera della Giunta regionale, tra l’altro, si legge che “l’assessore rileva, altresì, che non risulta ancora approvata la scheda inerente i requisiti di accreditamento specifici, per le strutture che erogano prestazioni residenziali e semiresidenziali per persone con dipendenze patologiche”.
«Peccato che tutte le schede delle dipendenze siano state approvate con la delibera di Giunta numero 34/26 del 2010. Tutte, tranne quella sui minori con dipendenze patologiche che di fatto non viene definita, nonostante le numerosissime segnalazioni inviate», interviene ancora Grillo. «Non so se siano più in difetto i politici o i dirigenti e funzionari dell’Assessorato regionale della Sanità. Di fatto, sono convinti che le nostre strutture possano licenziare in tronco dei dipendenti senza giusta causa, dimenticando che un istante dopo si presenterebbero dinnanzi a un giudice per farci causa. Giustamente. Negli anni le professionalità sono diventate differenti: un conto è la laurea L19, l’equivalente della vecchia laurea in pedagogia, un altro conto sono le nuove figure professionali che hanno una componente sanitaria e afferiscono alla facoltà di Medicina. Sino ad oggi abbiamo assunto gli educatori, ma ora la Giunta pretende che da domani teniamo il 25% di educatori socio-pedagogici. E il 65% di queste figure devono essere “tecnico della riabilitazione psichiatrica” oppure “educatore professionale sanitario”. Ma la Regione Sardegna non ha formato queste persone: un corto circuito di cui non si sono ancora accorti. Non hanno previsto una fase intermedia e neppure una sorta di sanatoria per le “vecchie” figure. Nella delibera della Giunta della scorsa settimana, l’assessore competente finge di non conoscere il Dpcm del 2017 sui Lea, che ci inserisce a pieno titolo tra le strutture che trattano le malattie croniche degenerative, quindi a totale carico della spesa sanitaria. Loro invece dicono che siamo strutture socio-integrate territoriali.
È una menzogna che impugneremo».