A pochi chilometri da Nuoro, nel territorio comunale di Orune, l’area archeologica di Su Tempiesu merita indubbiamente una visita. Il nome Su Tempiesu è legato a un mito e fa riferimento a un uomo proveniente da Tempio che, nei primi del ’900, lavorò al taglio dei boschi per produrre carbone, proprio in quella zona. La fonte sacra di Su Tempiesu è una delle testimonianze più importanti lasciate dalla civiltà nuragica. Il tempio a pozzo fa parte dei santuari nuragici legati al culto delle acque, come quello di Santa Cristina a Paulilatino o quello del Pozzo Sacro di Predio Canopoli a Perfugas.
Da Orune, le indicazioni portano a percorrere, per circa cinque chilometri, una strada quasi interamente sterrata. Si arriva così alla struttura ricettiva che dispone di sette parcheggi (è consigliabile, se si è in tanti, lasciare l’auto nella sosta riservata ai camper e ai bus turistici, distante qualche decina di metri). Per arrivare al sito bisogna poi seguire un sentiero con un dislivello di circa 130 metri (per circa 20 minuti), denominato “della botanica”, dove, tra le altre, si possono incontrare piante di lecci, sughere, mirto, rosmarino, elicriso.
Una volta arrivati, il tempio appare in tutta la sua maestosità: la facciata ha un timpano a triangolo acuto (in origine si ergeva per sette metri e terminava con un elemento ornamentale), formata da un vestibolo quadrangolare con pavimento in leggera pendenza, scala e cella che protegge la vena sorgiva. La parete di fondo immette in una scala strombata verso l’esterno (che ricorda quella del pozzo di Santa Cristina). Alla base della scala si inserisce una piccola tholos (falsa cupola) che raccoglie e copre l’acqua della fonte; il lastricato interno ha una fossetta di decantazione circolare che permette di mantenere l’acqua sempre limpida. Nei periodi di piena l’acqua traboccante scorre in una canaletta scavata sul pavimento del vestibolo e viene convogliata in una seconda piccola fonte, riproduzione in scala minore della principale.
Oltre alla bellezza dell’opera – risalente a oltre 3000 anni fa – il sito merita una visita anche per lo scenario, a perdita d’occhio, verso le colline e i monti, tra cui spicca il Monte Albo. Da restare senza fiato, anche se, un po’ di fiato, è meglio tenerlo in serbo!
Infatti la risalita è un po’ più impegnativa della discesa e avviene percorrendo il sentiero detto “della fauna”. Poco meno di mezz’ora in cui – se si è fortunati – si possono incontrare gatti selvatici, martore e picchi o – se si è meno fortunati e/o facilmente impressionabili – cinghiali, congili e bisce.
L’invito, come recita il cartello all’inizio del percorso, è quello di “lasciare – del proprio passaggio – solo le impronte”, in modo da turbare il meno possibile la tranquillità del luogo che, oltre ad ospitare la fonte sacra, meriterebbe una visita a parte per la spettacolarità dei paesaggi che offre.
Daniela Piras
Credito foto: Daniela Piras