Con una singola firma, l’Italia è divenuta nel 2019 la prima nazione del G7 ad approvare l’Iniziativa Belt and Road (BRI) della Cina. Questo progetto, anche chiamato “Nuova Via della Seta”, ha l’obiettivo di creare una rete infrastrutturale – inclusi porti, strade e ferrovie – per connettere l’Asia con l’Africa, l’Europa e oltre, facilitando così il commercio e la crescita economica.
Da un punto di vista strettamente economico, questa mossa è stata percepita come un’opportunità preziosa per rilanciare l’economia italiana in crisi e stimolare i settori chiave. Tuttavia, quando si è rivolta l’attenzione alla tecnologia, sono sorti dei dubbi. Mentre l’Italia ragiona sul futuro di questa iniziativa, emerge un interrogativo: l’abbandono dell’Iniziativa Belt and Road con la Cina avrà riflessi positivi sul comparto tecnologico?
Tecnologia, sicurezza e VPN
Il settore digitale italiano è un insieme di startup, PMI e giganti del tech, che generano un mix di innovazione e creatività. Nonostante ciò, l’industria – con una presenza globale – dipende significativamente dalla cooperazione internazionale, sia per la scalabilità che per l’innovazione. In questo scenario, l’adesione alla BRI diventa uno scenario complesso di vantaggi e svantaggi.
Tra i temi maggiormente interessati a questo cambiamento di paradigma c’è sicuramente quello inerente alla sicurezza: l’adesione dell’Italia alla BRI cinese ha portato a scontrarsi con quelle che sono le restrittive leggi vigenti in Cina. Anche tecnologie come quelle utilizzate dalle VPN, fondamentali per la sicurezza delle comunicazioni e la protezione dei dati, si sono trovate in una posizione delicata. Da un lato, la BRI offre un mercato vasto e redditizio, ma dall’altro, l’ombra di una regolamentazione più rigida minaccia la loro stessa esistenza.
Perché l’Italia dovrebbe uscire dalla BRI
L’eventuale ritiro dalla BRI potrebbe portare a un maggiore allineamento con gli standard tecnologici occidentali, in particolare quelli dell’UE. Con l’imminente Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), l’UE sta avanzando verso una rigorosa regolamentazione che mira a raggiungere la sovranità digitale. Allontanarsi dalla BRI cinese potrebbe permettere al settore tecnologico italiano di essere più in linea con queste nuove normative, favorendo il rispetto delle leggi sulla protezione dei dati, delle misure antitrust e delle altre leggi digitali proposte dall’UE.
Inoltre, un distacco dalla BRI cinese potrebbe aiutare a rafforzare l’ecosistema delle startup attraverso investimenti nazionali ed europei. Al momento, il settore tecnologico sta assistendo a una fuga di capitali verso la Cina, che altera la distribuzione equa degli investimenti. Rompere questi legami potrebbe riequilibrare l’ambiente degli investimenti, dando più fiducia alle imprese tecnologiche nazionali.
In conclusione, sebbene la decisione di lasciare la BRI sia principalmente politica, le sue implicazioni per il settore tecnologico sono rilevanti. Nonostante gli investimenti esteri e l’accesso al mercato siano argomenti validi per continuare l’impegno, le preoccupazioni relative all’appropriazione della tecnologia, alla sovranità digitale e allo squilibrio degli investimenti fanno pendere la bilancia verso l’uscita.
L’industria tecnologica italiana si trova attualmente ad un bivio, in cui le scelte politiche hanno un impatto significativo sull’ambiente economico. In vista del futuro, è cruciale stabilire un equilibrio che preservi i rapporti economici proficui, tuttavia, che salvaguardi il settore tecnologico da eventuali pericoli. Solo il futuro ci rivelerà quale percorso l’Italia deciderà di intraprendere per ravvivare il suo dinamico settore tecnologico.