No alle guerre. Rompiamo le armi. Tutti insieme. Nasce la Carta di S’Aspru e proprio dalla Sardegna parte un forte movimento per il cessate il fuoco e l’immediato avvio alle trattative internazionali. Domenica prossima i parlamentari e altri politici dell’isola saranno chiamati a condividere, nero su bianco, una serie d’iniziative da presentare alle Camere. Obiettivo: bloccare l’escalation bellica. La scelta dei luoghi non è casuale: quella di S’Aspru è la terra di pace costruita da padre Salvatore Morittu nella comunità di Siligo. L’appuntamento è per la mattina del 15, alle 10.00. Rappresenta idealmente il seguito della manifestazione “Rompiamo le armi” (nella foto, un momento dell’incontro) promossa il 2 dicembre a Sassari contro strategie di morte rese più apocalittiche, sino all’ipotesi di una catastrofe nucleare, dall’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin e dai disastri che ne sono derivati. La giornata è promossa dagli stessi organizzatori dell’assemblea sassarese. Quattro gruppi laici e cristiani: associazione Intrecci culturali, Comitato #fermiamolaguerra, Acli, Laudato sii (Mondo X – volontari del santuario della Vergine delle grazie). Sarà presente il sindaco di Siligo.
Nella Carta di S’Aspru si chiede a deputati e senatori sardi il coinvolgimento di reti, organizzazioni, enti per le mediazioni internazionali. E di considerare un tabù assoluto le bombe atomiche e di scegliere – espressamente e senza mezzi termini – l’abolizione della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Ma il cammino da percorrere è lungo.
E perciò gli estensori della Carta domandano pubblicamente davanti ai rappresentanti parlamentari e dei media un aiuto politico per i costruttori di pace e la condivisione della “non violenza attiva”. E quindi: fare votare in parlamento l’adesione a questi princìpi nell’interesse dei popoli coinvolti direttamente nei conflitti, oltre che determinare l’impegno reale dell’Italia per una vera trattativa diplomatica.
Infine: altri interventi di rapida attuazione, dal blocco di riarmo e spese militari sino allo stop di esercitazioni e test in una regione gravata da poligoni, basi e servitù.