Sassari. Dall’inizio dell’epidemia – era il 1981 – sono 452 i casi di Aids diagnosticati nel Nord Sardegna dalla Clinica di Malattie infettive dell’Aou di Sassari. Negli ultimi 10 anni, dal 2010 al 2021 sono 211 le nuove infezioni da Hiv diagnosticate, di queste 162 (76,8%) sono maschi e 49 (23,2%) femmine. E ancora, sono 760 i pazienti attualmente in terapia antiretrovirale cronica – cioè che assumono farmaci per combattere l’infezione da virus Hiv e lo sviluppo dell’Aids – mentre sono circa 300 coloro che vengono in visita saltuariamente al centro di riferimento sassarese.
In occasione della giornata mondiale della lotta contro l’Aids- celebrata per la prima volta nel 1988 e promossa dell’Organizzazione mondiale della sanità il 1° dicembre di ogni anno – si apre una riflessione su una patologia che fu descritta per la prima volta in letteratura nel 1981.
In Italia il primo caso venne diagnosticato nel 1982 mentre i primi due decessi per Aids, che costituisce lo stadio clinico terminale dell’infezione da virus Hiv cioè da immunodeficienza umana, furono registrati nel 1983. Da allora, sono oltre 72 mila i casi diagnosticati in Italia mentre i decessi superano quota 46mila.
Nella nostra isola, da quando l’epidemia ha avuto inizio, sono stati diagnosticati 1953 casi di Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita). Ma a partire dal 2016 l’incidenza di infezioni da Hiv e di Aids in Sardegna si è progressivamente ridotta. «Si tratta di un risultato dovuto all’efficacia delle terapie antiretrovirali – afferma il professor Giordano Madeddu di Malattie infettive – che sono capaci di azzerare la replicazione virale e di interrompere l’evoluzione del quadro clinico. D’altra parte, si sono dimostrate efficaci nel ridurre la probabilità di trasmissione fino ad azzerarla se la carica virale è non rilevabile».
Nella nostra isola la prevalenza delle persone con Hiv può essere stimata intorno a 160 casi ogni 100.000 abitanti. «Se si considera che la prevalenza della sclerosi multipla in Sardegna è di circa 300 casi ogni 100.000 abitanti – aggiunge Madeddu – ci si rende conto di come la malattia non si possa considerare una rarità nel nostro territorio».
Tra i 211 casi di nuove infezioni di Hiv registrati a Sassari negli ultimi 10 anni, l’età media dei pazienti era di 38 anni. Il numero più alto di nuove diagnosi (74,4 per cento pari a 157 casi) è stato fatto nella fascia di età compresa tra i 20 e i 49 anni. I pazienti con nuove diagnosi di età superiore ai 50 anni sono stati soltanto 39, meno del 20 per cento.
«I più colpiti – spiega ancora Giordano Madeddu – sono gli eterosessuali. L’infezione è ancora diffusa nei giovani, se si considera che negli ultimi 10 anni le diagnosi in under 30 hanno rappresentato il 30% del totale. Le donne, invece, rappresentano una minoranza delle nuove diagnosi (23%). Tra queste, però, è da notare che spesso si tratta di pazienti completamente inconsapevoli, come testimoniano le nuove diagnosi effettuate durante gli screening fatti in gravidanza».
Ma della malattia, dopo oltre 40 anni, c’è ancora una sottovalutazione. «Si potrebbe dire che è così – riprende il docente sassarese – perché soltanto una percentuale molto bassa di persone che scoprono l’infezione da Hiv aveva già fatto il test in passato. Un recente lavoro pubblicato dal nostro gruppo, poi, ha mostrato come molte persone non conoscano in dettaglio le vie di trasmissione delle malattie sessualmente trasmesse e le modalità per prevenirle».
Inoltre, non si può escludere la presenza anche di un “sommerso”. «Nel caso di infezione da Hiv – afferma ancora Madeddu – questo potrebbe aggirarsi intorno al 10-30 per cento. Ecco allora che, se si considera che nei centri di riferimento in Sardegna sono seguite circa 2.500 persone con Hiv, il sommerso potrebbe essere compreso in una forbice di 250 e 750 persone, già infette e ancora inconsapevoli.
«Ecco perché le campagne di prevenzione dovrebbero essere implementate e affiancate da iniziative di offerta attiva del test, laddove è più probabile che ci siano malati inconsapevoli», conclude Giordano Madeddu.